Testimonianza del Pluridecorato
Reduce Luigi Ferretti
Una Persona diceva: 'Molti nemici, molto Onore'.
In genere ha molti nemici chi opera rettamente, e lo si cerca tutti o quasi di 'abbattere' perchè dà loro noia e tema d'esserne adombrati.
Ebbene, non è poi così spiacevole che proprio nell'ambiente che dovrebbe sostenere l’operato di Chi lavora intensamente per il Bene di tutti, vi siano invece molti, molti Nemici che d’incomprensibile impaurita Ostilità lo Onorano!
Guardino Tutti, quale risposta ai Coloro che avrebbero voluto e vorrebbero ancora far cessare l’Ass.ne Reduci, questo spezzone dell’Intervista fatta al Pluridecorato Reduce della Tagliamento LUIGI FERRETTI.
Questi, il più autorevole e fedele ad essa nonchè Membro del Consiglio dei Probiviri del Sodalizio creato e presieduto dal Ten. Gregorio Misciattelli, men d’un anno prima della sua improvvisa imprevista scomparsa, nella Visita annuale dell’Associazione del Settembre 2018 davanti alla Tomba dei 43 Martiri di Rovetta, ha pronunziato le seguenti parole.
In esse il Ferretti ha rilasciato Testimonianza preziosa e quindi Riconoscimento incontrastabile e indelebile di Quanto ha operato il camerata Paolo Piovaticci per la prestigiosa Associazione che lui stesso, Fratello del Caduto di Rovetta Guido, tiene in vita e conduce esemplarmente.
70°
anniversario dell'eccidio di Rovetta:
una
pietra miliare nella memoria dei 43 Martiri della Tagliamento

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Ricordiamo l'attimo del ' Sacrificio ' affrontato
con dignità e coraggio esemplari da quegli innocenti sfortunati Ragazzi, con le parole
di uno dei libri
scritti in loro
Onore e imperitura memoria .
"Fu in questo momento
della prova, che questi ragazzi, anziché chiedere pietà, si rivelarono davvero
‘eroi’, tirando fuori da se’ non solo il coraggio, nella impassibilità di
fronte alle canne da fuoco che gli sparavano, ma qualcosa di più.
Non è giusto, di essi, parlare
di martiri e basta. Martiri sono coloro che per la loro nobile idea si fanno
ammazzare; eroi sono loro che oltre a saper cadere per la propria idea, operano
nell’attimo del ‘faccia a faccia’ con la morte atti significativi e
perpetuativi del loro ideale e del loro messaggio imperituro; che dimostrano di
saper ‘costruire’ nella demolizione imminente del loro corpo, una indicazione
pel futuro rilevamento del sogno che non gli si permette di realizzare
direttamente in vita.
Cosi vediamo Alvaro Porcarelli,
capelli e occhi chiari, uno dei maggiori in età coi suoi venti anni, ‘sergente’
quindi sentendosi responsabile dei suoi ‘ragazzi’, dopo essersi già rivolto ‘a uno dei partigiani pregandolo di
intercedere presso i capi..’ per ottenere che Vincenzo Ausili, Cesarino
Chiaretti e Sergio Bricco venissero risparmiati per la loro tenera età
ottenendo, come testimonierà lo stesso Ausili il 30 Gennaio 1950, ch’essi
fossero messi da parte e posti dietro un cespuglio del cimitero
dicendogli di attendere il parroco, cadere,
mentre incurante della sua persona si rivolgeva ancora a rincuorare i suoi
commilitoni. Lo vediamo cadere falciato da una raffica di mitra quasi rabbiosa
di tanto poca considerazione, e del nessun timore che quegli, altruisticamente
pensando a salvare la vita degli altri, più che la sua, dimostrava a chi forse
voleva che colà lui tremasse di paura e magari chiedesse pietà per la vita
propria.
Vediamo Giuseppe Randi, di
diciannove anni, la cui premura é solo quella, di fronte alle canne omicide, di
salvare il fratello più piccolo, di sedici anni, Randi Mario, ch’è accanto a
lui, e non per il semplice scopo di salvargli la vita, ma perché ‘almeno uno’ di loro due, e lui
cavallerescamente addita il fratello, più piccolo, possa tornare a casa a restare
vicino ai loro genitori, quando una raffica spazza entrambi dal mondo, ma non
questo nobile gesto e questa commovente premura fraterna che restano nella
memoria della verità storica per sempre.
Cosi vediamo Giuseppe Mancini,
di venti anni, gonfio di percosse, lasciato, per sfregio al nome che portava,
per ultimo, perché avesse potuto, lui ch’era nipote di Mussolini, assistere
prima di morire alla carneficina dei suoi amici e a come i ‘fascisti’ venivauo disprezzati e
massacrati dai ‘partigiani’, fatto salire sul mucchio dei corpi morti che
s’erano accumulati. E lo osserviamo salendo su essi salutarli tutti a nome, e
infine, giunto sulla loro sommità, ergersi e gridare, ivi lasciando l’ultimo
suo respiro, ‘Viva l’Italia’.
E non bastò una raffica in
pieno petto a stroncarlo, occorrerà, come precisa nel libro ‘Onore’ Giuliano
Fiorani, nel 2005, in una descrizione analitica che sembra quasi scritta col
bisturi, ‘che gli fracassino il cranio’.
Vediamo Carlo Banci, di
quindici anni, ardire di mostrare, agitandola col braccio alzato perché quelli
la vedano, la fotografia del padre prigioniero in India, e di dire al suo
camefice ‘sono figlio unico!’
consapevole di quanto duro colpo sarebbe stato per la sua famiglia il suo non
tornare più alla sua casa già vuota del padre! Una raflica, preceduta da un ‘peggio per tuo padre! ’ e da una risata
di frenetico gaudio, fece tacere il suo chiedere già muto che si esprimeva
attraverso il linguaggio umano e dignitoso di quella diletta immagine che il
ragazzo, che solo tale pensiero abbatteva, portava con sé, e che col braccio
che ricadeva si confonderà con le sue ossa.
Vediamo Guido Piovaticci, di
diciassette anni, lui che esemplarmente non volle abbandonare il suo posto per
difendere la Patria in pericolo né i compagni coi quali volle dividere
l’entusiasmo di un futuro di grandezza e il destino di una morte crudele. Ma
non mai temuta, anzi affrontata con la disinvoltura che non è incoscienza ma
consapevolezza di un dovere di italiano e di soldato.
Di fronte alle canne impazienti,
egli chiese un foglio di carta per un ultimo messaggio, mentre si sfilò dal
polso il braccialetto d’argento dalla etichetta centrale con su scritto avanti
"Legionario ‘M’ Piovaticci Guido"
e nel retro ‘Leg. Tagliamento 25-9-43’
e sulle cui catenelle erano attaccate due medagliette, la piu grande con
l'immagine di Gesù con scritto dietro "Dio
ti protegga ‘M Leg.Tagliamento" e l’altra con l’immagine della Madonna
col Bimbo in braccio e due Santi ai fianchi, che la mamma, cristiana fervente,
gli aveva dato.
Gli fu portato un foglietto
occasionale, quadrettato, visibilmente staccato forse da un piccolo taccuino, e
su di esso, sul quale pose l’indi rizzo di ‘Via
Olmata n. 23, Roma’, della sua abitazione, perché non andasse smarrito ma
finalmente il suo ultimo messaggio giungesse a destinazione, scrisse: ‘Sono morto per l’ltalia’. Fu falciato,
quasi quella raftica fosse indispettita da tanta lucidità e padronanza, quasi
nel mal sopportare che nessuna emozione gli procurasse la isterica frenetica
impazienza di quella sete partigiana di sangue.
Da notare che era talmente
certo che di lì a poco il suo cuore si sarebbe fermato, che egli, quasi già
sentendosi di là della vita, ha scritto ‘Sono morto’ e non ‘morirò’ oppure
semplicemente ‘muoio’.
Ed è in questa certezza
raggelante che acquista valore il coraggio di Guido, che superando il terrore
lancia il suo ultirno messaggio, quello che forse era nel cuore di tutti, e che
riassumeva, come in un grido ‘scritto’ affinchè rimanesse e non finisse lì
dissolto nell’aria, il ‘perché’, tutti insieme. quei quarantatrè ragazzi erano
morti: per ‘l’Italia’!
E caddero, cosi, tutti gli
altri ancora: da Sergio Rasi di diciassette anni, a Ferruccio Gallozzi di
diciannove, Vincenzo Fontana di diciotto, Mario Piellucci di diciassette, Italo
Terranera di diciannove, Vincenzo Balsamo di diciassette, Ettore Solari di
venti. Giovanni Grippaudo di venti, Silvano De1l’Armi di sedici, Luigi Umena di
venti, Antonio Aversa di diciannove, Aldo Zarelli di ventuno. Alfredo
Pizzitutti di diciassette, Vittorio Rampini di diciannove, Franco Zolli di
sedici, Franco Lagna di diciassette, Bruno Dilzeni di venti, Florino
Bettineschi di diciotto, Carlo Villa di diciannove, Bartolomeo Carsaniga di
ventuno; e ancora Roberto Panzanelli di ventidue anni,
Fernando Andrisano di ventidue,
Enrico Marino di venti, Giuseppe Foresti di diciotto, Pietro Uccellini di
diciannove. Fernando Cristini di ventuno, Francesco Garofalo di diciannove,
Stefano Pernacchio di diciotto, Carlo Cavagna di diciannove, Mario Giorgi di
sedici, Romano Ferlan di diciotto, Giovanni Martinelli di venti. Bruno
Tafforelli di ventuno, Alfredo Bulgarelli di diciotto, Bruno Fraja di
diciannove, Giovanni Gerra di diciotto, Antonio
Fontana di venti.
Caddero, tutti, come soldati e
come fratelli, qui provenuti da varie regioni italiane portando in sé
l’immagine umana più giovane e bella delle città in cui erano nati e da cui qui
conversero per immolare alla Patria la loro giovanissima vita.
Man mano che i giovani
legionari venivano mandati a morte, per disporsi a ridosso del muro di cinta
dovevano scavalcare i corpi dei loro camerati già senza vita, che s’erano
ammucchiati l`uno sull’altro, e dalle cui carni rotte dai proiettili scorreva
sui visi e i dorsi riversi e le mani, il sangue, fino a formare sul terreno
pozze sempre piu vaste.
Tanto, di sangue, vivo e caldo,
quella terra ne bevve, che non avrebbe stupìto se da quel giorno i fiori e le
foglie ch’ardissero li nascere, spuntassero tinti di rosso.
E a voi, loro uccisori, o, se siete ormai morti
per legge divina, per voi ai vostri discendenti che ancora si ostinano a non
voler riconoscere l'infame colpa dell'eccidio e a tentare di dirottarlo
vilmente su altri per vostra postuma e meschina difesa, diciamo:
Traditori, assassini dei vostri fratelli
italiani minorenni disarmati che vi dettero l'onore della della loro fiducia
affidandosi, a guerra finita, a voi, non avrà mai fine la vostra Vergogna! Voi, che li avete voluti seppelliti nel buio
della dimenticanza, sarete seppelliti dalla Luce della loro Memoria!
----------------------------------------------------------------------A CHI SI DEVE LA SALVEZZA DEI TRE GIOVANISSIMI MILITI RISPARMIATI A ROVETTA
L'eroico gesto di Alvaro Porcarelli
cosciente della sua imminente fucilazione
Molti atti di eroismo costellano la storia della Legione
Tagliamento, dal fronte russo del 1941-1943 all'epilogo del II conflitto
mondiale del 1945, compiuti a ogni livello dai Combattenti del grande Reparto
della R.S.I.
Fu infatti in quel
momento, in cui i ragazzi traditi, malmenati e insultati, seppero affrontare la
morte senza un lamento, senza implorare pietà, ma con impressionante dignità
fissando sprezzanti i loro carnefici, che si verificarono atti di grande
eroismo.
Tra questi, è
appunto il gesto di Alvaro Parcarelli, fronte alta e capelli e occhi chiari,
uno dei maggiori in età coi suoi venti anni, sergente sensibile e molto consapevole
della responsabilità dei suoi giovanissimi legionari, minimamente pensando che
qualche attimo dopo lui stesso sarebbe caduto ucciso, andò a rivolgersi a uno
di quei partigiani pregandolo di intercedere
presso i capi per ottenere che
Vincenzo Ausili, Cesarino Chiaretti e Sergio Bricco, venissero risparmiati per
la loro tenera età, cosa che alla fine avvenne proprio a seguito della sua
commovente e nobile iniziativa. Lo testimonia uno dei tre stessi 'salvati',
Vincenzo Ausili, nella sua dichiarazione sottoscritta rilasciata davanti al
giudice istruttore nel Processo Verbale e datata 30 Gennaio 1950, nella quale
fa una ricostruzione dei fatti e della loro sequenza di quell'eccidio,
specificando anche, in proposito:
"... ci fecero proseguire, finchè,dopo una curva della strada, scorgemmo
il cimitero di Rovetta. Qui giunti ci fecero entrare e piantonare sulle uscite.
Frattanto era giunto di corsa il parroco, che non potè far altro che darci una assoluzione
in massa, dopo la quale s'iniziò la fucilazione a gruppi di dieci o dodici per
volta. Io che facevo parte dell'ultimo gruppo stavo quasi per avviarmi quando
un nostro sergente, Alvaro Porcarelli, si rivolse a uno dei partigiani presenti
pregandolo di intercedere presso i capi Bepi Lanfranco e Walter che stavano in
una 1500 Fiat all'ingresso del cimitero. L'intercessione era per ottenere che
io e altri due, Chiaretti Cesarino di Milano e Bricco Sergio di Cantù, fossimo
risparmiati. I partigiani ci fecero uscire dalla fila ... ".
Alvaro Porcarelli,
dunque, con questo guizzo di alta umanità e altruismo, iscrive il suo nome
nella Memoria di quel frangente tragico ma luminoso dei 43 Martiri di Rovetta,
che pur senza l'armi, non tentarono di fuggire nè pietirono, ma vinsero i loro
carnefici dando loro una lezione di coraggio, di dignità, di sprezzo di loro e
della morte che dalla Storia non si potrà mai strappare..
P.P.
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LO SPIRITO CHE
ANIMAVA IL LEGIONARIO DELLA 'TAGLIAMEMTO'
in un esempio di
'vero' volontario combattente della R.S.I.
Riproponiamo il
brano di un intervento di Gregorio Misciattelli, Presidente della Legione 'M'
Tagliamento, apparso sulla Emme Rossa Anno III n. 8 di Ottobre 1999,pag. 3, che
evidenzia lo spirito che animava il Reparto e parificava nel merito di operare
per la unica causa ch'era la difesa del suolo e dell'onore della Patria
ufficiali e legionari.
Il brano fa parte di
una lettera da lui diretta al Direttore di 'Italia volontaria, gennaio-aprile
1998'.
“Caro direttore, ho letto su 'Italia volontaria, n. 2 del
settembre-dicembre 1997, la lettera indirizzata al Dr. Intelisano.
Le comunico che il Gruppo Reduci la Legione 'M'
Tagliamento, di cui mi onoro essere il presidente, ha iniziato le pratiche per
la riapertura del processo contro i partigiani che fecero l'eccidio di Rovetta
che non fu un atto di guerra, ma una strage compiuta dopo la fine della guerra
da partigiani comandati da ufficiali cosiddetti alleati passibili di aver
violato la convenzione di Ginevra.
La nostra Legione 44 anni fa, precisamente il 26/04/1954
fu giudicata dal Supremo Tribunale Militare (Predidente Buoncompagni) e fu
riconosciuta come reparto combattente.
Vorrei fare alcune precisazioni: 'i Martiri di Rovetta
facevano parte della Legione 'M' Tagliamento ed era un plotone di formazione
costituito da Legionari molto giovani e malati e feriti in convalescenza, che
era stato lasciato a Presidio del p.asso della Presolana, lontano dai
combattimenti, nei quali era impegnato il resto della Legione.
Ci sono errori nei nomi e nelle date di nascita nel
vostro elenco, ma sono cose di poca importanza.
Altra cosa che
invece tengo a far notare è che il Legionario Giuseppe Mancini , essendo il
figlio di Edvige, sorella di Mussolini, ne era il nipote ma, nessuno di noi lo
sapeva, fu scoperto solo quando il Duce nell'Agosto 1944 ci venne ad
ispezionare al fronte sulla linea del Foglia e chiese al nostro comandante
Console Merico Zuccari di poter parlare con il Legionario Mancini.
Il Console, molto
meravigliato che il Capo dello Stato volesse parlare con un Legionario, lo fece
chiamare ed il Duce notando la sua meraviglia gli disse che era suo nipote.
Questo è un esempio
di vero volontario che non ha voluto parlare della sua parentela per essere
trattato come tutti e non avere privilegi.
Mi scuso per essere stato lungo ed invio cordiali saluti".
Gregorio Misciattelli
E' lo
'spirito', questo di allora, che ha ereditato il Gruppo, ora 'Associazione' dei
Reduci della Tagliamento creata da Gregorio, e che è e deve essere il primo
fondamento morale e comportamentale imprescindibile, per far parte di essa, dei suoi aderenti.
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