Chi Siamo

Testimonianza del Pluridecorato 
Reduce Luigi Ferretti 

Una Persona diceva: 'Molti nemici, molto Onore'. 
In genere ha molti nemici chi opera rettamente, e lo si cerca tutti o quasi di 'abbattere' perchè dà loro noia e tema d'esserne adombrati. 
Ebbene, non è poi così spiacevole che proprio nell'ambiente che dovrebbe sostenere l’operato di Chi lavora intensamente per il Bene di tutti, vi siano invece molti, molti Nemici che d’incomprensibile impaurita Ostilità lo Onorano! 
Guardino Tutti, quale risposta ai Coloro che avrebbero voluto e vorrebbero ancora far cessare l’Ass.ne Reduci, questo spezzone dell’Intervista fatta al Pluridecorato Reduce della Tagliamento LUIGI FERRETTI. 
Questi, il più autorevole e fedele ad essa nonchè Membro del Consiglio dei Probiviri del Sodalizio creato e presieduto dal Ten. Gregorio Misciattelli, men d’un anno prima della sua improvvisa imprevista scomparsa, nella Visita annuale dell’Associazione del Settembre 2018 davanti alla Tomba dei 43 Martiri di Rovetta, ha pronunziato le seguenti parole. 
In esse il Ferretti ha rilasciato Testimonianza preziosa e quindi Riconoscimento incontrastabile e indelebile di Quanto ha operato il camerata Paolo Piovaticci per la prestigiosa Associazione che lui stesso, Fratello del Caduto di Rovetta Guido, tiene in vita e conduce esemplarmente. 
70° anniversario dell'eccidio di Rovetta:
una pietra miliare nella memoria dei 43 Martiri della Tagliamento
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28 Aprile 1945 mattina: i partigiani massacrano 43 legionari della Legione Tagliamento, inermi e minorenni, a guerra finita, dopo la loro resa e la  consegna delle armi con loro concordata e controfirmata dietro promessa della salvezza della vita e del rispetto delle norme delle Convenzioni  internazionali per i prigionieri di guerra, macchiando sè e la propria fratricida Banda oltre che di un atroce tradimento, del più disonorante crimine di guerra.

Ricordiamo l'attimo del ' Sacrificio ' affrontato con dignità e coraggio esemplari da quegli innocenti  sfortunati  Ragazzi, con  le  parole di  uno  dei  libri  scritti  in  loro  Onore e imperitura  memoria .
"Fu in questo momento della prova, che questi ragazzi, anziché chiedere pietà, si rivelarono davvero ‘eroi’, tirando fuori da se’ non solo il coraggio, nella impassibilità di fronte alle canne da fuoco che gli sparavano, ma qualcosa di più.
Non è giusto, di essi, parlare di martiri e basta. Martiri sono coloro che per la loro nobile idea si fanno ammazzare; eroi sono loro che oltre a saper cadere per la propria idea, operano nell’attimo del ‘faccia a faccia’ con la morte atti significativi e perpetuativi del loro ideale e del loro messaggio imperituro; che dimostrano di saper ‘costruire’ nella demolizione imminente del loro corpo, una indicazione pel futuro rilevamento del sogno che non gli si permette di realizzare direttamente in vita.
Cosi vediamo Alvaro Porcarelli, capelli e occhi chiari, uno dei maggiori in età coi suoi venti anni, ‘sergente’ quindi sentendosi responsabile dei suoi ‘ragazzi’, dopo essersi già rivolto ‘a uno dei partigiani pregandolo di intercedere presso i capi..’ per ottenere che Vincenzo Ausili, Cesarino Chiaretti e Sergio Bricco venissero risparmiati per la loro tenera età ottenendo, come testimonierà lo stesso Ausili il 30 Gennaio 1950, ch’essi fossero messi da parte e posti dietro un cespuglio del cimitero dicendogli di attendere il parroco, cadere, mentre incurante della sua persona si rivolgeva ancora a rincuorare i suoi commilitoni. Lo vediamo cadere falciato da una raffica di mitra quasi rabbiosa di tanto poca considerazione, e del nessun timore che quegli, altruisticamente pensando a salvare la vita degli altri, più che la sua, dimostrava a chi forse voleva che colà lui tremasse di paura e magari chiedesse pietà per la vita propria.
Vediamo Giuseppe Randi, di diciannove anni, la cui premura é solo quella, di fronte alle canne omicide, di salvare il fratello più piccolo, di sedici anni, Randi Mario, ch’è accanto a lui, e non per il semplice scopo di salvargli la vita, ma perché ‘almeno uno’ di loro due, e lui cavallerescamente addita il fratello, più piccolo, possa tornare a casa a restare vicino ai loro genitori, quando una raffica spazza entrambi dal mondo, ma non questo nobile gesto e questa commovente premura fraterna che restano nella memoria della verità storica per sempre.
Cosi vediamo Giuseppe Mancini, di venti anni, gonfio di percosse, lasciato, per sfregio al nome che portava, per ultimo, perché avesse potuto, lui ch’era nipote di Mussolini, assistere prima di morire alla carneficina dei suoi amici e a come i ‘fascisti’ venivauo disprezzati e massacrati dai ‘partigiani’, fatto salire sul mucchio dei corpi morti che s’erano accumulati. E lo osserviamo salendo su essi salutarli tutti a nome, e infine, giunto sulla loro sommità, ergersi e gridare, ivi lasciando l’ultimo suo respiro, ‘Viva l’Italia’.
E non bastò una raffica in pieno petto a stroncarlo, occorrerà, come precisa nel libro ‘Onore’ Giuliano Fiorani, nel 2005, in una descrizione analitica che sembra quasi scritta col bisturi, ‘che gli fracassino il cranio’.
Vediamo Carlo Banci, di quindici anni, ardire di mostrare, agitandola col braccio alzato perché quelli la vedano, la fotografia del padre prigioniero in India, e di dire al suo camefice ‘sono figlio unico!’ consapevole di quanto duro colpo sarebbe stato per la sua famiglia il suo non tornare più alla sua casa già vuota del padre! Una raflica, preceduta da un ‘peggio per tuo padre! ’ e da una risata di frenetico gaudio, fece tacere il suo chiedere già muto che si esprimeva attraverso il linguaggio umano e dignitoso di quella diletta immagine che il ragazzo, che solo tale pensiero abbatteva, portava con sé, e che col braccio che ricadeva si confonderà con le sue ossa.
Vediamo Guido Piovaticci, di diciassette anni, lui che esemplarmente non volle abbandonare il suo posto per difendere la Patria in pericolo né i compagni coi quali volle dividere l’entusiasmo di un futuro di grandezza e il destino di una morte crudele. Ma non mai temuta, anzi affrontata con la disinvoltura che non è incoscienza ma consapevolezza di un dovere di italiano e di soldato.
Di fronte alle canne impazienti, egli chiese un foglio di carta per un ultimo messaggio, mentre si sfilò dal polso il braccialetto d’argento dalla etichetta centrale con su scritto avanti "Legionario ‘M’ Piovaticci Guido" e nel retro ‘Leg. Tagliamento 25-9-43’ e sulle cui catenelle erano attaccate due medagliette, la piu grande con l'immagine di Gesù con scritto dietro "Dio ti protegga ‘M Leg.Tagliamento" e l’altra con l’immagine della Madonna col Bimbo in braccio e due Santi ai fianchi, che la mamma, cristiana fervente, gli aveva dato.
Gli fu portato un foglietto occasionale, quadrettato, visibilmente staccato forse da un piccolo taccuino, e su di esso, sul quale pose l’indi rizzo di ‘Via Olmata n. 23, Roma’, della sua abitazione, perché non andasse smarrito ma finalmente il suo ultimo messaggio giungesse a destinazione, scrisse: ‘Sono morto per l’ltalia’. Fu falciato, quasi quella raftica fosse indispettita da tanta lucidità e padronanza, quasi nel mal sopportare che nessuna emozione gli procurasse la isterica frenetica impazienza di quella sete partigiana di sangue.
Da notare che era talmente certo che di lì a poco il suo cuore si sarebbe fermato, che egli, quasi già sentendosi di là della vita, ha scritto ‘Sono morto’ e non ‘morirò’ oppure semplicemente ‘muoio’.
Ed è in questa certezza raggelante che acquista valore il coraggio di Guido, che superando il terrore lancia il suo ultirno messaggio, quello che forse era nel cuore di tutti, e che riassumeva, come in un grido ‘scritto’ affinchè rimanesse e non finisse lì dissolto nell’aria, il ‘perché’, tutti insieme. quei quarantatrè ragazzi erano morti: per ‘l’Italia’!
E caddero, cosi, tutti gli altri ancora: da Sergio Rasi di diciassette anni, a Ferruccio Gallozzi di diciannove, Vincenzo Fontana di diciotto, Mario Piellucci di diciassette, Italo Terranera di diciannove, Vincenzo Balsamo di diciassette, Ettore Solari di venti. Giovanni Grippaudo di venti, Silvano De1l’Armi di sedici, Luigi Umena di venti, Antonio Aversa di diciannove, Aldo Zarelli di ventuno. Alfredo Pizzitutti di diciassette, Vittorio Rampini di diciannove, Franco Zolli di sedici, Franco Lagna di diciassette, Bruno Dilzeni di venti, Florino Bettineschi di diciotto, Carlo Villa di diciannove, Bartolomeo Carsaniga di ventuno; e ancora Roberto Panzanelli di ventidue anni,
Fernando Andrisano di ventidue, Enrico Marino di venti, Giuseppe Foresti di diciotto, Pietro Uccellini di diciannove. Fernando Cristini di ventuno, Francesco Garofalo di diciannove, Stefano Pernacchio di diciotto, Carlo Cavagna di diciannove, Mario Giorgi di sedici, Romano Ferlan di diciotto, Giovanni Martinelli di venti. Bruno Tafforelli di ventuno, Alfredo Bulgarelli di diciotto, Bruno Fraja di diciannove, Giovanni Gerra di diciotto,  Antonio Fontana di venti.
Caddero, tutti, come soldati e come fratelli, qui provenuti da varie regioni italiane portando in sé l’immagine umana più giovane e bella delle città in cui erano nati e da cui qui conversero per immolare alla Patria la loro giovanissima vita.
Man mano che i giovani legionari venivano mandati a morte, per disporsi a ridosso del muro di cinta dovevano scavalcare i corpi dei loro camerati già senza vita, che s’erano ammucchiati l`uno sull’altro, e dalle cui carni rotte dai proiettili scorreva sui visi e i dorsi riversi e le mani, il sangue, fino a formare sul terreno pozze sempre piu vaste.
Tanto, di sangue, vivo e caldo, quella terra ne bevve, che non avrebbe stupìto se da quel giorno i fiori e le foglie ch’ardissero li nascere, spuntassero tinti di rosso.


E a voi, loro uccisori, o, se siete ormai morti per legge divina, per voi ai vostri discendenti che ancora si ostinano a non voler riconoscere l'infame colpa dell'eccidio e a tentare di dirottarlo vilmente su altri per vostra postuma e meschina difesa, diciamo:
 Traditori, assassini dei vostri fratelli italiani minorenni disarmati che vi dettero l'onore della della loro fiducia affidandosi, a guerra finita, a voi, non avrà mai fine la vostra Vergogna!  Voi, che li avete voluti seppelliti nel buio della dimenticanza, sarete seppelliti dalla Luce della loro Memoria!
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 A CHI  SI  DEVE LA SALVEZZA  DEI  TRE  GIOVANISSIMI  MILITI RISPARMIATI  A ROVETTA
L'eroico gesto di Alvaro Porcarelli cosciente della sua imminente fucilazione



Molti atti di eroismo costellano la storia della Legione Tagliamento, dal fronte russo del 1941-1943 all'epilogo del II conflitto mondiale del 1945, compiuti a ogni livello dai Combattenti del grande Reparto della R.S.I.
Vogliamo, tra questi, ricordare, anche per sfatare erronee attribuzioni date su di esso, il gesto eroico compiuto da Alvaro Porcarelli, uno dei giovanissimi Martiri dell'eccidio di Rovetta, l'infame strage di 43 militi inermi e quasi tutti minorenni commesso a guerra finita da partigiani che in onta ai patti di una resa controfirmata da ambo le parti che sanciva per i Legionari la salvezza della vita e il rispetto delle Convenzioni internazionali per i prigionieri di guerra, li condussero al muro del cimitero e li fucilarono.

Fu infatti in quel momento, in cui i ragazzi traditi, malmenati e insultati, seppero affrontare la morte senza un lamento, senza implorare pietà, ma con impressionante dignità fissando sprezzanti i loro carnefici, che si verificarono atti di grande eroismo.
Tra questi, è appunto il gesto di Alvaro Parcarelli, fronte alta e capelli e occhi chiari, uno dei maggiori in età coi suoi venti anni, sergente sensibile e molto consapevole della responsabilità dei suoi giovanissimi legionari, minimamente pensando che qualche attimo dopo lui stesso sarebbe caduto ucciso, andò a rivolgersi a uno di quei partigiani pregandolo di intercedere  presso i capi per ottenere  che Vincenzo Ausili, Cesarino Chiaretti e Sergio Bricco, venissero risparmiati per la loro tenera età, cosa che alla fine avvenne proprio a seguito della sua commovente e nobile iniziativa. Lo testimonia uno dei tre stessi 'salvati', Vincenzo Ausili, nella sua dichiarazione sottoscritta rilasciata davanti al giudice istruttore nel Processo Verbale e datata 30 Gennaio 1950, nella quale fa una ricostruzione dei fatti e della loro sequenza di quell'eccidio, specificando anche, in proposito: "... ci fecero proseguire, finchè,dopo una curva della strada, scorgemmo il cimitero di Rovetta. Qui giunti ci fecero entrare e piantonare sulle uscite. Frattanto era giunto di corsa il parroco, che non potè far altro che darci una assoluzione in massa, dopo la quale s'iniziò la fucilazione a gruppi di dieci o dodici per volta. Io che facevo parte dell'ultimo gruppo stavo quasi per avviarmi quando un nostro sergente, Alvaro Porcarelli, si rivolse a uno dei partigiani presenti pregandolo di intercedere presso i capi Bepi Lanfranco e Walter che stavano in una 1500 Fiat all'ingresso del cimitero. L'intercessione era per ottenere che io e altri due, Chiaretti Cesarino di Milano e Bricco Sergio di Cantù, fossimo risparmiati. I partigiani ci fecero uscire dalla fila ... ".

Alvaro Porcarelli, dunque, con questo guizzo di alta umanità e altruismo, iscrive il suo nome nella Memoria di quel frangente tragico ma luminoso dei 43 Martiri di Rovetta, che pur senza l'armi, non tentarono di fuggire nè pietirono, ma vinsero i loro carnefici dando loro una lezione di coraggio, di dignità, di sprezzo di loro e della morte che dalla Storia non si potrà mai strappare..
P.P.
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LO SPIRITO CHE ANIMAVA IL LEGIONARIO DELLA 'TAGLIAMEMTO'
in un esempio di 'vero' volontario combattente della R.S.I.

Riproponiamo il brano di un intervento di Gregorio Misciattelli, Presidente della Legione 'M' Tagliamento, apparso sulla Emme Rossa Anno III n. 8 di Ottobre 1999,pag. 3, che evidenzia lo spirito che animava il Reparto e parificava nel merito di operare per la unica causa ch'era la difesa del suolo e dell'onore della Patria ufficiali e legionari.
Il brano fa parte di una lettera da lui diretta al Direttore di 'Italia volontaria, gennaio-aprile 1998'.
“Caro direttore, ho letto su 'Italia volontaria, n. 2 del settembre-dicembre 1997, la lettera indirizzata al Dr. Intelisano.
Le comunico che il Gruppo Reduci la Legione 'M' Tagliamento, di cui mi onoro essere il presidente, ha iniziato le pratiche per la riapertura del processo contro i partigiani che fecero l'eccidio di Rovetta che non fu un atto di guerra, ma una strage compiuta dopo la fine della guerra da partigiani comandati da ufficiali cosiddetti alleati passibili di aver violato la convenzione di Ginevra.
La nostra Legione 44 anni fa, precisamente il 26/04/1954 fu giudicata dal Supremo Tribunale Militare (Predidente Buoncompagni) e fu riconosciuta come reparto combattente.
Vorrei fare alcune precisazioni: 'i Martiri di Rovetta facevano parte della Legione 'M' Tagliamento ed era un plotone di formazione costituito da Legionari molto giovani e malati e feriti in convalescenza, che era stato lasciato a Presidio del p.asso della Presolana, lontano dai combattimenti, nei quali era impegnato il resto della Legione.
Ci sono errori nei nomi e nelle date di nascita nel vostro elenco, ma sono cose di poca importanza.
Altra cosa che invece tengo a far notare è che il Legionario Giuseppe Mancini , essendo il figlio di Edvige, sorella di Mussolini, ne era il nipote ma, nessuno di noi lo sapeva, fu scoperto solo quando il Duce nell'Agosto 1944 ci venne ad ispezionare al fronte sulla linea del Foglia e chiese al nostro comandante Console Merico Zuccari di poter parlare con il Legionario Mancini.
Il Console, molto meravigliato che il Capo dello Stato volesse parlare con un Legionario, lo fece chiamare ed il Duce notando la sua meraviglia gli disse che era suo nipote.
Questo è un esempio di vero volontario che non ha voluto parlare della sua parentela per essere trattato come tutti e non avere privilegi.
Mi scuso per essere stato lungo ed invio cordiali saluti".
Gregorio Misciattelli

E' lo 'spirito', questo di allora, che ha ereditato il Gruppo, ora 'Associazione' dei Reduci della Tagliamento creata da Gregorio, e che è e deve essere il primo fondamento morale e comportamentale imprescindibile, per far parte di  essa, dei suoi aderenti.
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